La via Flaminia

Storia

Sul tracciato della Via Flaminia, in entrambi i rami, sorsero gli oppida, poi le villae e infine i castra romani, trasformatisi poi nella moltitudine di castelli, rocche e borghi di età medievale..

La Storia

Questa via consolare romana che collegava Roma a Rimini, la sua costruzione venne avviata dal Console Gaio Flaminio Nepote, uno dei più importanti uomini politici del III secolo, molto amato dal popolo in quanto le sue idee contrastavano l’autorità indiscussa del Senato.

La costruzione di questa strada era diventata strategica dopo la vittoria romana sui Sanniti e i loro alleati umbri ed etruschi nella battaglia di Sentinum del 295 a.C., che aveva dato loro il controllo dell’Italia centrale.

Dopo di che s’erano consolidate le colonie di Otricoli e di Narni (intorno al 299 a.C.), fondate quelle di Rimini (268 a.C.) e Spoleto (241 a.C.). Era stata respinta l’invasione dei Galli del 255 a.C. grazie all’alleanza con le comunità italiche, con la vittoria finale del 222 a.C. che aveva reso Roma padrona di gran parte dell’Italia settentrionale.

La nuova strada, perciò, incorporando le vie precedenti, permetteva il controllo del territorio, lo sviluppo dei traffici, la romanizzazione delle regioni attraversate e lo spostamento rapido degli eserciti nel caso di nuovi attacchi gallici.

“Nel 1852 vennero rinvenute quattro tazze d’argento, poste tra i doni votivi della Fonte termale di Aquae Apollinares, presso Bracciano (l’odierna Vicarello), risalenti al I-IV secolo d.C., con incise tutte le tappe del viaggio da Gades (Cadice) fino a Roma, (Itinerarium Gaditanum). Tutti e quattro gli itinerari incisi attraversano l’Umbria citando le tappe di Helvillo, Nuceria, Mevania, Ad Martis, Narnia e Ocriculum.”

La Via Flaminia lasciava Roma uscendo dalla Porta Flaminia, l’odierna Porta del Popolo, superava il Ponte Milvio e seguendo la Valle del Tevere entrava in Umbria ad Otricoli, continuando fino a Narni.

Un maggior risalto venne dato alla Flamina Nova dopo la riorganizzazione delle Regioni operata da Diocleziano, che decretò la fusione di Tuscia e Umbria in un’unica entità territoriale, favorendo la nuova Regio Flaminia et Picenum, e quindi il ramo orientale della via.

Questi itinerari vengono confermati da altre fonti primarie ritrovate nel tempo.

Molto importante tra le fonti antiche è la Tabula Peutingeriana, copia di mappe più antiche e corredata di disegni e informazioni.

Lungo le arterie consolari romane s’incontravano, ogni 20 km. circa, le “stationes”, i luoghi di sosta dove i viaggiatori potevano cambiare i cavalli, riparare i carri, fermarsi in una locanda o mangiare in un’osteria.

Nell’antica mappa della “Tavola Peutingeriana” vengono segnalate le principali stationes, ad es. la Statio ad Martis, posta sulla Flaminia, a 28 miglia da Narni. Gli studiosi l’hanno identificata con “Vicus Martis Tudertium”, che oggi corrisponde ad un piccolo abitato posto nei pressi della Chiesa di Santa Maria in Pantano, a poca distanza da Massa Martana.

Nel suo complesso, questa stazione di sosta forniva una locanda, le terme, un veterinario e un medico, il fabbro, il maniscalco, i soldati, il mercato e il santuario.

La tavola Peutingeriana ci è indispensabile per capire la viabilità romana: si tratta di una copia del XII-XIII secolo di una carta romana in cui erano disegnate le vie consolari dell’Impero, copia conservata a Vienna (Codix Vindobonensis).

All’imperatore Augusto (27 a.C. – 14 d.C.) va il merito di aver restituito alla Via Flaminia il ruolo di via consolare di primaria importanza.

Lui stesso ci dice esplicitamente che, durante il suo settimo consolato (27 a.C.), fece costruire la Via Flaminia da Roma ad Ariminum, compresi i ponti tranne il Milvio e il Minucio (Augusto, Res Gestae, XX, 5).

Dalla Storia romana di Dione Cassio, sappiamo che le strade fuori Roma erano così malmesse e trascurate che Augusto ordinò a vari senatori di provvedere a ripararle a loro spese, mentre lui si sarebbe occupato della Via Flaminia, dove avrebbe condotto l’esercito.

I lavori vennero eseguiti in breve tempo e statue di Augusto furono poste sopra il Ponte sul Tevere e su quello di Rimini.

A Massa Martana, infine, è murata una lapide su un muro della Porta d’ingresso, in cui si dice che l’imperatore Adriano (117-138 d.C.) restaurò la via Flaminia nel 124 d.C.

Sul tracciato della Via Flaminia, in entrambi i rami, sorsero gli oppida, poi le villae e infine i castra romani, trasformatisi poi nella moltitudine di castelli, rocche e borghi di età medievale, che quasi nella totalità sono giunti fino a noi nella loro affascinante integrità.

Il “cursus publicus” era provvisto di strutture di appoggio ai viaggiatori, come locande, taverne, ospizi, stalle, certamente non molto confortevoli per i poveri; i ricchi, come Cicerone, avevano dei “diversoria” lungo i tragitti che li portavano alle loro ville lontane dalla Capitale.

I “praetoria” erano centri d’accoglienza per l’imperatore, i magistrati, i funzionari, che avevano oltre ai servizi di ospitalità un’adeguata scorta militare difensiva.

Apuleio racconta che lungo le strade si incontravano frequenti luoghi sacri dove i viandanti si fermavano a pregare, un semplice boschetto, un albero particolare, gli incroci in genere consacrati a divinità protettrici dei viaggiatori e dei mercanti, come Mercurio, Ercole, i Dioscuri; nei pressi delle città, la strada era fiancheggiata da sepolture e monumenti funerari, spesso con lapidi rivolte verso la strada ed iscrizioni che pregavano il viandante di offrire un pensiero e un ricordo, magari fermandosi su sedili o esedre predisposte.

La Via Flaminia lasciava Roma uscendo dalla Porta Flaminia, l’odierna Porta del Popolo, superava il Ponte Milvio e seguendo la Valle del Tevere entrava in Umbria ad Otricoli, continuando fino a Narni.

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