Massa Martana – Bastardo
Archeologia – Bastardo
Si tratta di una cittadina di recente ampliamento, sorta agli inizi del Novecento con lo sfruttamento delle miniere di lignite, là dove si trovava un posto di ristoro, l’”Osteria del Bastardo”, così chiamata perché il proprietario era figlio illegittimo di genitori sconosciuti.
Questo toponimo (la “Capanna del Bastardo”) è citato già in un documento del 1492 dell’Abbazia di San Felice e ribadito nello statuto di Giano del 1536 dove era previsto il versamento di 6 libbre di cera bianca per la festa di San Francesco da parte dell’Oste del Bastardo.
L’attuale nome, “Bastardo”, è stato definito ufficialmente tra il 1920 e il 1933.
Chiesa di Santa Barbara
Sorge nel paese una Chiesa dedicata alla protettrice dei minatori, costruita in stile neogotico intorno agli anni ’30.
Chiesa della Madonna del Pianto
Sorta come edicola posta sulla strada, è diventata una piccola chiesa con le caratteristiche dell’edificio devozionale viario. Tetto a capanna, facciata semplice con le due finestrelle devozionali da cui il viandante poteva vedere l’altare e pregare l’immagine della Madonna, anche se la chiesa fosse stata chiusa. Posteriormente è situato il leggiadro campaniletto a vela, ad unico fornice. Attualmente gestita dall’Abbazia di San Felice, viene aperta ogni anno la terza domenica di giugno in occasione della festa dedicata alla Vergine.
Ponte del Diavolo
Questo ponte romano costruito durante il tracciato della Flaminia, supera un ruscello oggi insignificante un tempo affluente del fiume Puglia, è ad un solo arco di 3,5 metri di luce, formato da parapetti e spallette in enormi blocchi di pietra e travertino ben squadrati. Si trova al confine tra Bastardo e località Cavallara, è difficile individuarlo perché ricoperto da rampicanti ed erba alta, e inoltre si trova dentro una proprietà privata.
Le dimensioni di questo cavalcavia, un cunicolo lungo ben 15 metri, hanno fatto nascere la leggenda medievale che sia stato il diavolo ad intervenire nella sua costruzione, chiedendo in cambio l’anima di colui che vi fosse passato per primo. Ovviamente il diavolo venne beffato facendo transitare per primo un animale.
Villa di Gaio Iulio Rufione
Una villa rustica edificata forse in età imperiale e mantenuta attiva fino al IV secolo d.C. Doveva godere di una fiorente economia agricola, a cui si aggiungeva l’ottima posizione sulla Via Consolare, a metà strada tra Vicus ad Martis e Mevania.
Secondo un’iscrizione ritrovata in loco, la villa sarebbe appartenuta a Rufione, figlio di un liberto di Cesare.
Gli scavi sistematici del sito hanno avuto inizio nel 2003, nonostante si conoscesse l’ubicazione degli edifici fin dal 1925. Ne è emersa una struttura articolata in più edifici, di una superficie complessiva di 7000 mq., con ampie stanze, ambienti termali riscaldati con un impianto di aria calda, un raffinato mosaico pavimentale a tessere bianche e nere, pareti decorate con affreschi dipinti in stile pompeiano, cornici in stucco e rivestimenti di marmo.
I reperti recuperati sono esposti, nel Museo Archeologico di Montecchio. Il sito archeologico invece, insiste su terreno privato.
Castel Rinaldi
Il borgo fortificato si presenta tuttora con le sue mura perimetrali e la sua mole massiccia ben adatta alla difesa, mentre all’interno si sviluppa l’abitato, tra le case addossate alle mura e quelle affacciate sui vicoli medievali, alcune anche di famiglie signorili del Quattrocento e del Cinquecento.
Entro le mura si trova la Chiesa di San Sebastiano, citata una prima volta nelle “Rationes decimarum italiae” dell’Archivio di Todi alla data 1277; viene inoltre attestata in archivio SIUSA dal 1672, ma l’analisi delle murature la colloca fra il XII e il XIII secolo. L’ingresso, posto in un vicolo, si raggiunge grazie ad una rampa pavimentata in pietra, il portale è sormontato da una stretta monofora a feritoia, il campanile a vela è un proseguimento della facciata. Negli ultimi decenni la chiesa è apparsa nella sua struttura settecentesca e solo recentemente è stata restaurata nella sua originale forma romanica.
L’interno è a navata unica, intonata, con soffitto ligneo a capriate, presbiterio rialzato di cinque gradini e sottostante cripta in pietra con volta a botte. Sulla parete d’ingresso della cripta è emerso un affresco raffigurante la figura di Cristo simile a quella della Sacra Sindone.
Nei pressi del borgo si trovano i resti di una Rocca, poco oltre una Necropoli pagana, un vecchio mulino e la Cascata del Fosso.
La visita della Necropoli è molto interessante, anche se è raggiungibile soltanto per un sentiero immerso nel bosco; presenta un sepolcreto del II secolo a.C., a forma di colombario, con nicchie per le olle cinerarie, disposte a scacchiera. Secondo l’abate Di Costanzo, archeologo di fine secolo XVIII, le nicchie funerarie erano sistemate in ordine di sette, una sopra l’altra; i piccoli loculi sono posti a filari all’interno di grotte scavate nel tufo e dovettero funzionare come cimitero almeno fino al III secolo d.C.
Proseguendo poco oltre la Necropoli, si raggiunge la Cascata del Fosso, un luogo ameno da visitare: l’acqua del fiume Fosso fa un salto di una decina di metri e finisce in uno specchio d’acqua limpidissimo. Dalle rocce vicine sgorgano piccole sorgenti che alimentano una vegetazione fitta di muschi e felci. Nei pressi sono i ruderi di un antico mulino ad acqua.
Chiese e Abbazie – Abbazia di San Felice
Uno straordinario esempio di architettura romanica, posta in un luogo ameno, affacciata sulla valle e il tracciato della Flaminia Vetus. È sicuramente una visita imperdibile e di grande suggestione.
L’Abbazia è dedicata a San Felice, martire del quale abbiamo tracciato una breve biografia a proposito dell’omonima chiesa di Massa Martana. I suoi discepoli ne celarono il corpo in un bosco di lecci dov’egli era uso ritirarsi in preghiera, costruendovi una piccola cappella. Con l’aumentare dei fedeli e il verificarsi dei miracoli, si rese necessaria l’edificazione di una chiesa, secondo lo Jacobilli intorno al 950 d.C. Si racconta che mentre il carro col sarcofago lasciava Vicus Martis per raggiungere i boschi di Giano, i due buoi che lo trainavano si fermarono ostinatamente in un punto, s’inginocchiarono e quello fu il segno che il Santo aveva scelto il luogo dove essere sepolto.
L’Abbazia è dedicata a San Felice, martire del quale abbiamo tracciato una breve biografia a proposito dell’omonima chiesa di Massa Martana. I suoi discepoli ne celarono il corpo in un bosco di lecci dov’egli era uso ritirarsi in preghiera, costruendovi una piccola cappella. Con l’aumentare dei fedeli e il verificarsi dei miracoli, si rese necessaria l’edificazione di una chiesa, secondo lo Jacobilli intorno al 950 d.C. Si racconta che mentre il carro col sarcofago lasciava Vicus Martis per raggiungere i boschi di Giano, i due buoi che lo trainavano si fermarono ostinatamente in un punto, s’inginocchiarono e quello fu il segno che il Santo aveva scelto il luogo dove essere sepolto. La festa del Santo viene celebrata il 30 ottobre.
Accanto alla Chiesa, che secondo i documenti dipendeva dall’Abbazia di Farfa (Rieti), sorse il monastero Benedettino cassinese, del quale si hanno notizie certe intorno al 1200. Da una bolla di Papa Gregorio IX del 1373 si evince che il complesso passò sotto la giurisdizione dell’Abbazia di Santa Croce di Sassovivo (Foligno).
Successivamente l’Abbazia passò dapprima ai Padri Passionisti e infine ai Padri della Congregazione del Preziosissimo Sangue di Gaspare del Bufalo, i quali ne sono tuttora gli amministratori.
Così in questa Abbazia si sommano la devozione verso San Felice con quella di un Santo romano dell’Ottocento, il quale nel 1810 rifiutò di giurare fedeltà a Napoleone Bonaparte e per questo venne tenuto in carcere per 4 anni.
L’esterno della chiesa si presenta nelle forme del romanico lombardo con uno schema architettonico simile a quello della Chiesa di San Gregorio Maggiore di Spoleto (costruita nel 1079 e quindi presumibilmente coeva); le pietre calcaree rosa e bianche provengono dalle cave della vicina San Terenziano.
Altre pietre provengono da materiale di spoglio, sia del primitivo oratorio che di epoca romana, ad esempio sulla facciata è murato un capitello corinzio, mentre all’interno si individuano capitelli romani e colonne scanalate.
Il portale ha una cornice a tre incassi, molto elegante, delineata da pietre bianche e rosa, lunetta e arco a tutto sesto. Al di sopra la trifora, il capitello corinzio e l’oculo.
L’interno si presenta piuttosto spoglio ed essenziale, è diviso in tre navate, da possenti colonne in pietra, tetto a botte nella parte centrale, a vela nelle navate laterali. Il presbiterio, come in altre chiese coeve benedettine, è rialzato di 14 gradini, composto dall’altare e da due aule laterali separate da archi a tutto sesto poggianti su colonne.
A lato del presbiterio scendono le scale verso la cripta che, ovviamente, è la parte più antica e più originale dell’edificio. Immersa nel chiarore soffuso delle lampade, si presenta nel suo aspetto veramente medievale, fitta di colonne, con capitelli diversi tra loro e interessante per le figure che vi sono scolpite, esempio di quel bestiario tipico dell’epoca. Dietro l’altare sono conservate le spoglie di San Felice, dentro un sarcofago in travertino, poggiante su cinque basse colonnine, decorato con motivi geometrici e due animali stilizzati.
Da questa chiesa proviene uno splendido paliotto dipinto del 1300 oggi conservato nella Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, in cui è raffigurato il martirio di San Felice, Cristo giudice racchiuso in una mandorla, due teorie di santi da ambo i lati, i simboli dei quattro evangelisti e l’Agnus Dei.
Castello di Giano dell’Umbria
Raggiungere questo borgo medievale è di grande interesse, poiché si è mantenuto pressoché intatto e, purtroppo, lo spopolamento gli ha restituito una certa atmosfera antica e mistica Il panorama che si gode da questo poggio, siamo ad un’altitudine di mille metri, è così vasto che spazia sui Monti Martani e discende su tutta la Valle umbra, mettendo a fuoco anche l’antico tracciato della Via Flaminia.
Nel 1200, durante il periodo dell’incastellamento, vennero erette le mura e le fortificazioni, volendo Giano opporsi alle pretese espansionistiche di Spoleto, Foligno, Todi e Stato Pontificio. Appartenne, come gli altri castelli già visitati, alla regione della “Normandia” e nel 1250 venne riconosciuto come “comune rurale” indipendente. Lo Statuto nella stesura in latino del 1536 è conservato nell’Archivio Comunale.
Attualmente, il castello si presenta nella sua originaria struttura a chiocciola, fra due cerchie murarie costruite fra il Mille e il 1200, le porte di accesso, le torri di difesa, i vicoli e le abitazioni che salgono fino al culmine del paese. Un ulteriore rafforzamento difensivo venne voluto dal Cardinale Egidio Albornoz, restauratore del potere Papale in Umbria attraverso la “politica delle rocche”, nella seconda metà del 1300.
Chiesa di Santa Maria delle Grazie
Originariamente doveva essere una costruzione del 1300, ma ormai compare nella sua ristrutturazione di fine Settecento. Rimane una bifora gotica posta sull’esterno dell’abside. Al di sopra del portale d’accesso è collocato lo stemma del castello.
L’interno, dall’aspetto neoclassico, conserva sull’altare maggiore una Madonna con Bambino del Trecento.
Chiesa di San Michele Arcangelo
Molto interessante questa chiesa edificata tra il XIII e il XIV secolo. Anch’essa spesso rimaneggiata attraverso i secoli, ma della quale sono ancora visibili le absidi semicircolari e le pietre rosate dei muri esterni. La sua importanza per il territorio è testimoniata dalla presenza del fonte battesimale.
All’interno, completamente ristrutturato, sono visibili tracce di affreschi Cinquecenteschi dipinti nel catino dell’abside.
Chiesa di San Francesco
Si trova nei pressi della porta d’accesso al castello, entro le mura. Edificata nel XIII secolo in onore del Santo d’Assisi, ricalcava la struttura delle semplici chiese francescane; su di essa si sono sovrapposti i rifacimenti del Seicento. La facciata è sobria, in pietra, con tetto a capanna, portale sormontato da arco a botte e lunetta, oculo cieco. L’interno, arricchito da elementi barocchi e neorinascimentali, è a navata unica, con cappelle laterali ricche di decorazioni barocche, contenenti sei altari lignei, con paliotti ad intarsio in scagliola, e tele raffiguranti episodi del Vangelo e Santi.
Anche l’altare maggiore si presenta riccamente decorato con una cornice lignea barocca, una tela raffigurante la Natività con le offerte dei Magi e in basso dei committenti; sotto l’altare un bellissimo paliotto in scagliola con intarsi che raffigurano l’ostensorio del tabernacolo tra fiori e sfondo a trompe l’oeil. Sul lato sinistro dell’altare si apre un ambiente che doveva essere del tutto affrescato, di cui rimane una Crocefissione, con un angelo che riempie il calice col sangue del costato di Cristo.
Sulla parete di fronte altri affreschi che raffigurano la deposizione di Cristo nel Sepolcro, e il Giudizio Universale con i dannati che vengono scaraventati nell’inferno. Gli affreschi sono stati attribuiti al pittore di Foligno Giovanni di Corraduccio, operante in ambito umbro-marchigiano tra il 1404 e il 1437.
Castello di Castagnola
Che abbiamo già citato come facente parte della cosiddetta Normandia, ed oggetto di lotte per il territorio fra Foligno, Spoleto e Todi. In generale seguì le vicende del castello di Giano, fino all’assegnazione del territorio alla famiglia Trinci di Foligno. Nel 1478 passò con altri borghi sotto il dominio di Spoleto, infine, nel Cinquecento, passò a Todi del cui potere è rimasto lo stemma con l’aquila tuderte e due aquilotti sotto le ali, posto sopra la porta d’accesso al borgo. Dal 1486 si dotò di uno Statuto rurale scritto in latino, riproposto poi in volgare nel Seicento, in cui venivano stabilite le regole civili e anche le feste del paese.
Per quanto riguarda il toponimo forse fa riferimento alla castagna a cui la pianta topografica dell’abitato sembra somigliare,
Il borgo si presenta in parte circondato dalle mura originarie, alle quali sono addossate le abitazioni e gli stretti vicoli, l’unico edificio religioso è la Chiesa di Santa Croce, una chiesa di antiche origini ma rimaneggiata del Settecento.
Dal belvedere antistante la porta d’ingresso si può ammirare tutta la vallata, là dove scorreva la Flaminia Vetus e s’intravede poco lontano l’Abbazia di San Felice, un vero gioiello dell’arte romanica.
Prima di arrivare a Giano dell’Umbria, che dista circa 4 km., lungo la strada s’intravede il tetto di una chiesa che si raggiunge scendendo per un breve tratto di strada sterrata.
Santuario della Madonna del Fosco
Il toponimo Fosco, nel significato di “scuro”, deriva dalla presenza di una fitta boscaglia che si trovava sul luogo al tempo dell’apparizione miracolosa della Madonna ad un giovane pastore. Era l’ultima domenica di giugno del 1413 quando la Vergine apparve portando tra le mani una rosa e una croce, mentre nei borghi infuriava la peste. La Madonna posò la mano sulla fronte del pastore Giovanni per lasciarvi un segno a testimonianza della sua apparizione e gli chiese che fosse costruita una cappella in suo onore.
Terminata subito la peste, i fedeli costruirono dapprima un’edicola, poi una prima chiesetta intorno al 1450, che venne ingrandita nel Seicento e di nuovo nell’Ottocento. L’immagine della Madonna venne affrescata nel 1415 dal pittore e miniatore eugubino Ottaviano Nelli; il dipinto, attualmente posto all’interno di una cornice barocca, raffigura l’incontro tra il pastorello inginocchiato e la Vergine incoronata, sul lato sinistro compare un Angelo con in mano un fiore a forma di croce, al di sopra del gruppo, racchiuso in una mandorla, compare il Cristo con sei angeli a destra e sei a sinistra. Sullo sfondo un paesaggio agreste.
Il luogo è tutt’ora oggetto di grande devozione popolare ed i pellegrinaggi nel mese di maggio partono dai vari castelli e raggiungono il Santuario.
Montecchio
Questo bel borgo a pianta ellittica, circondato da mura, ha mantenuto l’aspetto e l’atmosfera del medioevo, nei suoi vicoli, archi, scale di accesso alle abitazioni, pietre antiche, chiese e silenzi. Ancora oggi si pone all’incrocio di assi viari che collegano Foligno, Spoleto e Todi.
Dopo il passaggio e i saccheggi perpetrati da vari popoli invasori, e la guerra greco-gotica combattuta sulla Flaminia, nell’VIII secolo entrò a far parte del Ducato longobardo di Spoleto, del quale Montecchio rappresentava il confine verso nord-ovest. Intorno all’anno Mille sorse il primo nucleo del castello, insieme ad una prima Chiesa di San Bartolomeo, ricostruita in seguito nel XIII secolo.
Nel medioevo fece parte della cosiddetta “Normandia”; secondo gli storici i Normanni, a partire dal 1078, avevano assediato Spoleto e occupato il territorio tra Montecchio e la Piana di Trevi, comprendente, oltre Montecchio e Giano, i castelli di Clarignano, Macciano, Colle del Marchese, Morcicchia, Moriano e Castagnola. I Normanni, chiamati da Papa Gregorio VII contro l’Imperatore Enrico IV, si sarebbero stanziati sulle pendici dei Monti Martani, tra Castel Ritaldi e Giano.
Si entra nel castello da una porta d’accesso aperta sulla cinta muraria, edificata fra il XII e il XIV secolo; sulla piazzetta si erge il cinquecentesco Palazzo del Comune, con lo stemma del castello (entro uno scudo sono raffigurati tre monticelli), e la Chiesa di San Bartolomeo, romanica, dalla bella facciata costruita con pietre bianche e rosa.
Chiesa di San Bartolomeo
Il portale, con arco a tutto sesto inserito in due rincassi, presenta una lunetta molto interessante portante la data 1223: nel bassorilievo sono raffigurate due figure semicancellate e due mani che sorreggono un giglio guelfo, al di sotto compaiono un uccello, e due persone in atteggiamento reverente, anch’esse semicancellate.
Su questa lunetta si sono concentrati gli studi dello storico locale Carlo Bizzarri il quale vedrebbe in questa raffigurazione l’immagine di Federico II di Svevia che riceve dalla madre Costanza d’Altavilla lo scettro gigliato, a significare il dominio sul territorio della Normandia, mentre la data coinciderebbe con l’incontro con Papa Onorio III per stabilire la Crociata. I due personaggi laterali sono identificati con il Duca di Spoleto Rainaldo di Urslingen e sua sorella Adelaide madre di Enzo.
A seguito delle lotte tra l’Imperatore e il Papato, compresa la scomunica lanciata da Gregorio IX, si sarebbe proceduto a colpi di scalpello ad eleminare la preziosa testimonianza federiciana.
L’interno è ad una sola navata, col tetto ligneo sorretto da volte a botte, poggianti a destra su massicci pilastri. L’altare maggiore, che risente di spunti barocchi, conserva una tela del Seicento raffigurante la Madonna in trono con Bambino, tra San Lorenzo e San Bartolomeo; al di sotto si trova un bel paliotto marmoreo datato 1430, sul quale sono raffigurati San Pietro con le chiavi, un gallo e un giglio, San Paolo con la spada e il Vangelo a difesa della cristianità e l’Arcangelo Gabriele che uccide il drago.
Chiesa di San Rocco
Di grande importanza nel medioevo quando dava alloggio ai pellegrini e agli ammalati. È una chiesa campestre del 1200, in stile romanico, col tetto a capanna e l’abside semicircolare; si trova addossata ad una casa colonica, dalla quale per decenni è stata usata come stalla, e che forse faceva parte dell’ospedale medievale. All’interno vi era un ciclo di affreschi del Quattrocento, molto danneggiati nonostante i restauri recenti, raffiguranti Sant’Antonio Abate, San Sebastiano e una Madonna in Trono con Bambino. La figura di San Rocco è andata perduta.
Castello delle Rocchette
L’edificio si presenta maestoso e ben conservato, grazie anche alla cura dei proprietari attuali, alto su una collina che dominava la strada tra Todi e Bastardo. Il primo nucleo fu rappresentato da una semplice torre di avvistamento, mentre secondo alcuni documenti venne costruito il maniero nel 1295 per volontà della famiglia erede di Zurcio Gottofredi.
Oggetto di attacchi da parte di Todi, venne più volte ricostruito; nel Quattrocento venne fortificato con una più solida cinta muraria e la costruzione di torrioni tra cui quello a forma cilindrica che rimane ben conservato accanto alla porta d’accesso.
Quando il vicino castello di Castelvecchio venne distrutto dalle armate di Francesco I Sforza, che nel 1434 era stato nominato vicario di Papa Eugenio IV della città di Todi per 5 anni, il castello delle Rocchette ne accolse gli abitanti fuggiaschi.
Attualmente il castello risulta proprietà privata.
Si entra nel castello dalla porta a tutto sesto sormontata dal medaglione in pietra raffigurante l’aquila tuderte; all’interno delle mura si trova la:
Chiesa di Santa Maria della Concezione, molto piccola, con un unico ambiente e un’abside semicircolare. La sua costruzione dovrebbe risalire agli inizi del Cinquecento perché nel 1568 risulta visitata da Angelo Cesi, Vescovo di Todi.
L’interno doveva essere tutto affrescato in quanto rimangono alcune opere raffiguranti la Madonna col Bambino, un Vescovo, una gentildonna in preghiera e ancora una Madonna che brandisce un bastone per difendere un bambino dal diavolo (detta Madonna del Tortoro). Anche la cappella antistante l’ingresso è totalmente affrescata con opere del XV e XVI secolo.
Castelvecchio
Nel 1200 questo castello era molto importante, in posizione strategica, in alto su un colle che dominava la via di transito obbligatoria per coloro che dalla Valle del Tevere attraversavano l’altopiano di San Terenziano e volevano raggiungere la Via Flaminia. Probabilmente le sue origini affondano nei tempi dell’impero romano, poi torre di avvistamento e infine borgo fortificato.
Il castello divenne avamposto di difesa del confine nord occidentale del comune di Todi, con 105 fuochi accertati nel 1290, un ospedale e otto chiese nel suo territorio. Nel XIV secolo, a causa delle continue lotte tra famiglie rivali guelfe e ghibelline, subì più volte l’assedio da parte dei guelfi, portando gli abitanti a cercare altrove sicurezza.
Più grave la distruzione portata tra il 1434 e il 1444 dalle artiglierie di Francesco Sforza che, come s’è detto, aveva ottenuto dal Papa la Signoria su Todi. Egli motivò la distruzione del castello affermando che gli abitanti erano per loro natura assassini e ladri, che attaccavano e depredavano coloro che transitavano nel loro territorio e che perciò era bene estirparli una volta per tutte.
Dopo la distruzione del castello gli abitanti si rifugiarono in parte alle Rocchette e in parte a Viepri. Tuttavia, alcune case rimasero soprattutto a servizio dell’antico asse viario, offrendo luoghi di sosta e di ristoro per viandanti e mercanti.
Come d’uso lungo le strade di transito sorsero anche edicole e chiese viarie, in questo caso la cappella devozionale dedicata alla Madonna di Castelvecchio, con all’interno un’antica icona della Vergine. Successiva, invece, è la sistemazione della Madonna di Loreto con Bambino, dipinta da Pietro Paolo Sensini che, come s’è già detto, venne offerta in dono da un certo Benedetto di Cecco, del Castello delle Rocchette, avvenimento che risale al 1581 secondo l’iscrizione posta ai piedi dell’icona stessa.
I ruderi del Castello di Castelvecchio vengono menzionati come il Castellaccio, nei pressi vi si trovano due sorgenti di acqua considerata miracolosa, l’acqua del Castrone e la Fonte del Vescovo.
Poco oltre il Santuario, procedendo sulla Strada Provinciale 421, si può vedere la Chiesa di Sant’Ippolito, attualmente proprietà privata (Pizzeria Il Castellaccio), che è una chiesetta viaria del 1200, mura in pietra, tetto a capanna, semplice portale con arco a tutto sesto sormontato da una finestra rettangolare. Sul retro è ben conservato l’abside semicircolare, con una stretta finestrella a feritoia. L’interno, a una sola navata, presenta tracce di affreschi, quello rimasto nell’abside raffigura Cristo Crocefisso e ai lati della finestrella i Santi Pietro e Paolo.
Monastero di San Pietro sopra le acque (IN VOCABOLO SARRIOLI, A CIRCA DUE KM. DA MASSA MARTANA)
La chiesa si presenta nei restauri del XVII secolo, con la facciata preceduta da un portico a quattro arcate, affrescato all’interno con dipinti quattrocenteschi tra cui una Madonna con Bambino e San Pietro. Sul sagrato si affacciano anche le edicole devozionali con all’interno affreschi molto deteriorati.
Il portale d’accesso, sormontato da lunetta, è decorato con cornice marmorea a bassorilievi. Il campanile è a vela, a due fornici. L’interno ad unica navata è intonacato, con altari e cappelle dedicate a vari Santi, alcune affrescate. Nell’abside si trova un pregevole coro ligneo.
Il monastero dei Cappuccini presentava anche un chiostro con pozzo quadrangolare, 24 celle, il refettorio, la cucina, i servizi e una sala adibita a biblioteca. All’esterno si aprivano gli orti, oggi trasformati in giardino all’italiana, e il bosco. In una parte del giardino sono conservati i resti di una necropoli romana.
Abbazia di Santa Maria Sperandio
È la chiesa che si trova fuori le mura di Viepri, nei pressi del cimitero, riaperta al pubblico soltanto nel 2018 dopo i restauri dei danni provocati dal terremoto del 1997.
La facciata con tetto a capanna è costruita con blocchi di pietra squadrati, presenta un portale con arco a tutto sesto, sopra il quale si apre una elegante bifora, trilobata. Sul lato destro si erge la torre campanaria, massiccia ma tronca probabilmente per adeguarla ad edificio di abitazione. Il piccolo campanile a vela ha due fornici. Murati nelle pareti si possono vedere elementi lapidei di origine romana e di decorazioni bizantine. Lo stemma dei frati Agostiniani è del Settecento.
L’interno si presenta diviso in tre navate e tre absidi, con doppia fila di pilastri e arcate a tutto sesto. Piuttosto spoglia, conserva tracce di alcuni affreschi riferibili a pittori locali e due affreschi di Andrea Polinori, la “Nascita della Vergine” e la “Madonna del Rosario”.
Viepri
La deviazione per visitare questo castello non richiede, come abbiamo detto, molto tempo, mentre dà un’idea di un borgo medievale che ha mantenuto la sua atmosfera, vuoi per la posizione isolata su un colle che domina la vallata, vuoi perché ridotto a poco più di un centinaio di abitanti.
Fonti storiche (Alvi, storico del Settecento) riferiscono che l’attuale complesso sia sorto dopo il 1380, a seguito della distruzione del Castello di Monte Schignano che si trovava più in alto e di cui resterebbero alcune tracce. Sicuramente una prima edificazione, conosciuta come Villa Veprium, non fortificata dovrebbe risalire al 1200, al periodo in cui gli abitanti delle campagne cercavano rifugio sulle alture per sfuggire alle perenni lotte fra i comuni. Dal XIV secolo si parla invece di Castrum Veprium a significare la costruzione delle mura e delle torri difensive.
Il castello, infatti, venne continuamente conteso tra Todi, Foligno, Massa Martana e Spoleto a cui apparteneva il confinante Montecchio, e soltanto nel 1392 ebbe un periodo di tranquillità, quando si pose sotto la protezione della potente Foligno, governata in quel tempo da Ugolino III Trinci, con atto formale riconosciuto dalla Santa Sede, in particolare da Papa Bonifacio IX che chiedeva in contropartita l’intervento in guerra dei Trinci contro i Perugini, per il possesso dei castelli di Assisi e Todi. Dopo un breve periodo, tuttavia, Viepri tornò sotto la dominazione di Todi, come dimostra l’aquila tuderte posta sopra la porta d’accesso al borgo fortificato.
Subito dopo la porta d’entrata si trova la:
Chiesa di San Giovanni Battista
Si tratta di un edificio molto piccolo, al cui interno si trovano affreschi del ‘500 raffiguranti la Decollazione del Santo, immagine posta sull’altare di fondo, sormontata da una Madonna con Bambino ed Angeli. La pittura rivela dei tratti popolari, semplici e tuttavia leggiadri; a lato la figura di San Rocco osserva la scena. Il resto delle pareti è intonacato, unico reperto antico l’acquasantiera composta da una colonna romana e da un capitello con funzione di vasca. All’esterno, il piccolo campanile a vela, a due fornici, fa tutt’uno con un torrione della cinta muraria.